L'immagine adottata come sintesi, e al tempo stesso come fonte di ispirazione per un museo concepito come luogo di confronto e dialogo, è quella del "tiqqun". Riferendosi al concetto luriano di creazione e redenzione, un ruolo predominante è stato affidato alla luce, materia stessa della struttura architettonica; quello che si potrebbe chiamare il materiale "qelippah" dell'edificio, non riesce a contenere questa luce "rompendosi" come i vasi del maestro di Safed. Questa mescolanza di materia e luce conduce naturalmente alla dimensione simbolica del tiqqun, come la ricomposizione dei frammenti; questa prospettiva si sviluppa su diversi livelli, primo fra tutti quello storico. Il Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah costituisce, infatti, una preziosa occasione per ricomporre la frattura storica rappresentata dai tragici eventi del Novecento. La sutura si contrappone alla lacerazione, ricomposizione resa possibile grazie alla memoria del passato; dal punto di vista culturale si ricompongono in un unico luogo le peculiarità della ricchissima tradizione del giudaismo italiano, qui raccontate attraverso le diverse epoche e le relative espressioni sociali, culturali, religiose e linguistiche. Ogni singolo oggetto o riferimento ad una specifica espressione culturale o religiosa moltiplica così i suoi valori, rendendone conto della sua complessità e capacità di rinnovare il suo significato, prima di ricomporsi nel confronto tra i vari visitatori; la dimensione narrativa si sviluppa quindi ben oltre le mura/porte del museo, in linea con una precisa concezione del museo e con l'ispirazione che anima l'intero progetto.